Premio Marzocco 2017 – Marco Bellocchio

Regista, sceneggiatore e produttore italiano nato a Piacenza il 9 novembre 1939.

Ultimo, assieme al gemello Camillo, di otto tra fratelli e sorelle, cresce in una famiglia della borghesia piacentina. Frequenta il liceo a Piacenza , presso il collegio di San Vincenzo retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane e il liceo classico a Lodi, presso il convitto di San Francesco retto dai Padri Barnabiti. Si iscrive poi alla facoltà di Legge dell’Università Cattolica e ai corsi di recitazione all’Accademia de Filodrammatici a Milano. Ma un’improvvisa afonia non gli consente di proseguire su questa strada. Nel 1959 parte a Roma per seguire i corsi di recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia dove conosce alcuni dei suoi futuri collaboratori (Silvano Agosti, Giuseppe Lanci, Giantito Burchiellaro, Enzo Doria, Alberto Marrama) e firma i saggi di primo anno e di diploma: La colpa e la pena e Abbasso lo zio, entrambi del 1961, e Ginepro fatto uomo (1962). Parte poi per Londra dove si iscrive alla Slide School of Fine Arts dove la sezione cinema è diretta da Thorold Dickinson. Vince una borsa di studio e si diploma con una tesi sul lavoro con gli attori di Michelangelo Antonioni e Robert Bresson. Pubblica nel frattempo poesia e recensioni per i “Quaderni Piacentini” e “Rendiconti”, anche se ha sempre avuto la passione per la pittura. Lì inizia a scrivere alcuni soggetti, tra cui quello di I pugni in tasca che poi gira nel 1965, considerato da Elliot Stein, critico del quotidiano “The Guardian”, il “più bell’esordio dopo Ossessione di Visconti”. Il film, ambientato nella casa di campagna di Bobbio, è finanziato dal fratello magistrato Tonino. Al centro c’è una famiglia composta dalla madre cieca e quattro fratelli. Il maggiore, Augusto, è l’unico ad avere un lavoro. Ci sono poi Giulia, Leone, affetto da ritardo mentale e Alessandro, epilettico e solitario che darà il via a una serie di omicidi. Già da questo esordio entrano in gioco alcuni degli elementi riconoscibili del suo cinema: gli spazi chiusi della casa, la critica e la dissoluzione della famiglia borghese, la malattia, la follia, le tracce autobiografiche che si mescolano con i toni di un anomalo horror che rappresenta, ancora oggi, un’unicità nel panorama nostrano. Il film rappresenta una violenta scossa nel cinema italiano. Due anni più tardi firma La Cina è vicina (1967), Gran Premio della giuria al Festival di Venezia, arrabbiato film politico di contestazione ambientato a Imola che mescola pubblico e privato: La campagna elettorale che si sta svolgendo diventa l’occasione per un’altra spietata analisi della provincia, dei rapporti di classe, dei meccanismi del potere, delle false ideologie del centrosinistra e dell’ipocrisia borghese. Nel 1968 gira il mediometraggio Discutiamo, discutiamo realizzato assieme a Elda Tattoli e con il movimento studentesco dell’Università di Roma, che farà poi parte di Amore e rabbia (1969) assieme agli episodi di Carlo Lizzani, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini e Jean-Luc Godard. Nello stesso anno firma due film prodotti dall’Unione dei Comunisti Italiani, Paola e Viva il primo maggio rosso. I conflitti familiari, le regole opprimenti, la claustrofobia degli ambienti risultano ancora più accentuati in Nel nome del padre (1972), ambientato in un collegio religioso nel 1958 dove entrano ancora in gioco dei frammenti autobiografici in opera carica di ombre simboliche e metafore. Dello stesso anno è Sbatti il mostro in prima pagina con Gian Maria Volonté, giallo politico e insieme analisi ancora sul modo di esercitare il potere (in questo caso i mezzi di informazione) che mescola finzione e cronaca nella vicenda di un redattore capo di un grande quotidiano che strumentalizza un delitto sessuale per screditare la sinistra extraparlamentare a Milano dopo la strage di Piazza Fontana. Nel 1975, su proposta dell’Assessore alla sanità del Comune di Parma Mario Tommasini, realizza con Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia Matti da slegare, documentario sui pazienti ed ex girato nel manicomio di Colorno. Torna al cinema di finzione con Marcia trionfale (1976), dove mette ancora lucidamente a fuoco i meccanismi di potere delle istituzioni (in questo caso la vita militare) dove nella rituale ripetitività c’è il progressivo annullamento del singolo, incarnati dal giovane laureato del sud costretto a fare il servizio di leva e il suo Capitano. Nel 1977 adatta per la televisione Il gabbiano di Anton Čechov dove opera un lavoro di riscrittura del dramma esclusivamente attraverso il linguaggio cinematografico, seguito da La macchina cinema (1978), documentario di ‘storie nascoste’ realizzato ancora con Agosti, Rulli e Petraglia e Vacanze in Val Trebbia (1980), girato in 16 mm in cui il cineasta si mette in gioco attraverso la sua ’cronaca familiare’ e le radici con Bobbio. Alla fine degli anni Settanta risale anche l’incontro con lo psicanalista Massimo Fagioli che collabora nella fase di ideazione dei film e dell’elaborazione della sceneggiatura. Con Salto nel vuoto (1980) in ritorna potentemente il tema della follia nella famiglia come componente ereditaria, dei legami di sangue ossessivi all’interno di spazi angusti attraverso le figure di un fratello e una sorella, lui giudice lei casalinga, che vivono insieme da quando sono nati. Per questo film i due protagonisti Michel Piccoli e Anouk Aimée sono premiati come migliori attori al Festival di Cannes mentre il cineasta riceve il David di Donatello come miglior regista. Con Gli occhi, la bocca (1982) ritorna sui passi di I pugni in tasca che diventa una sorta di specchio sulla memoria ma che indica anche la necessità di chiudere i conti col passato attraverso la figura del protagonista Lou Castel nei panni di un attore che torna dopo molti anni a casa a Bologna e del fratello morto suicida. Nel 1984 porta sullo schermo Enrico IV da Luigi Pirandello con Marcello Mastroianni che anticipa uno dei suoi titoli più impetuosi, Diavolo in corpo (1986), in cui anticipa un discorso sull’identità della donna attraverso il corpo nevrotico di Maruschka Detmers, divisa tra un terrorista pentito e il figlio del suo psicanalista, che vive l’amore e il sesso come sfida totalizzante. La trilogia al femminile prosegue attraverso le figure di Maddalena che ha ucciso il suo presunto violentatore e crede di essere una strega nata nel 1630 su cui uno psichiatra sta facendo una perizia in La visione del sabba (1988) e della studentessa rimasta chiusa in un museo che fa sesso con un architetto e poi denuncia per sequestro di persona e abuso sessuale in La condanna (1991), premiato con l’Orso d’argento alla Berlinale. La contrapposizione tra silenzio e parola, vita reale e palcoscenico attraverso la figura di un ragazzo che non parla da quando ha 14 anni e ha scelto di fare l’attore per affidare la propria comunicazione ai testi teatrali è al centro in Il sogno della farfalla (1994), altra opera, come Diavolo in corpo che punta alla liberazione delle forme più rimosse dell’inconscio. Poi porta sullo schermo la tragedia di Heinrich von Kleist in Il principe di Homburg (1997), sorta di fantascienza storica visionaria, film sonnambulo, in cui il protagonista è condannato a morte da un suo sovrano e poi viene graziato. Torna il tema del padre, l’antinomia tra verità e sogno, ordine e follia in una dimensione che appare sempre più trasfigurata. Dello stesso anno è il cortometraggio Elena, dedicato alla figlia appena nata, presentato al Festival di Locarno dove è Presidente di giuria. La balia (1999), terzo incontro del regista con Luigi Pirandello (c’è anche il cortometraggio L’uomo dal fiore in bocca del 1992), è una sorta di triangolo ossessivo tra uno psichiatra, la moglie nevrotica che non riesce ad allattare il neonato e una giovane contadina che instaura con il ragazzino un contatto immediato con una continua e sotterranea tensione che si amplificano in un cinema di luoghi chiusi alla ricerca però sempre più di aperture verso l’esterno. E di questo orientamento c’è una palese dimostrazione in L’ora di religione (2002), dove la casa può ampliarsi a dismisura e diventare un immenso labirinto, abitata da un pittore laico romano, che si apre a squarci onirici, rappresentazione di un itinerario interiore, con un’inquietudine che chiude un’ideale trilogia inaugurata da I pugni in tasca e proseguita con Gli occhi, la bocca ma dove c’è una liberatoria separazione dai grovigli familiari. E c’è la casa anche nel successivo Buongiorno, notte (2003) dove la cronaca (il rapimento di Aldo Moro) è solo un pretesto per essere trasfigurata in un kammerspiel politico, di separazioni (il segretario della Democrazia Cristiana dai suoi carcerieri), di ombre e di sogni, di slanci improvvisi en plein-air, dove il tempo (anche filmico) sembra prolungarsi e perdere le sue normali coordinate. Dopo Il regista di matrimoni (2006), viaggio nell’inconscio del processo creativo ancora tra spettri e proiezioni oniriche, di un regista che si sta apprestando a dirigere una versione de I promessi sposi che incontra un regista di filmini matrimoniali alla ricerca della fama che non ha mai avuto e un principe indebitato. Un tormento femminile, quello della trentina Ida Dalser e la sua storia con Benito Mussolini è un altro estremo esempio di un’accusa alle forme di un potere oppressivo in Vincere (2009), opera futurista e insieme espressionista, tra bianco e nero e colore, tra cinegiornali e finzione. Dove i protagonisti possono essere seppelliti dallo spazio o diventare giganti ombre malefiche. Dove entra in gioco in modo ancora più netta la voce, come elemento puramente fisico e destabilizzante che si collega anche con l’opera successiva, Bella addormentata (2012), ancora un’oscillazione tra cronaca e fantasia (il caso Eluana Englaro) con un montaggio che collega le figure del senatore in crisi esistenziale e la figlia cattolica integralista, la famosa attrice francese con la figlia in coma irreversibile, la tossicodipendente che vuole suicidarsi ma c’è un medico che glielo impedisce, quasi figure filmate come un ininterrotto flusso di coscienza di un paese, il nostro, che sembra stare sott’acqua. Sangue del mio sangue (2015) rappresenta un’ulteriore ritorno a Bobbio, sospesa passato secolo e il presente, dove il grottesco si intreccia con un fantasy del futuro, tra l’ispettore del Ministero che vuole vendere a un miliardario russo un antico convento in cui nel XVV° secolo era stata murata viva una giovane suora accusata di aver portato al suicidio il sacerdote fratello gemello di un nobile. Ancora le forme della memoria entrano in gioco in Fai bei sogni (2016), sorta di ‘favola nera’ tratto dal romanzo di Massimo Gramellini, ambientato tra il 1969 e il 1993, epoche unite dalla figura del giornalista Massimo la cui madre è morta misteriosamente quando aveva nove anni.

Dirige il Bobbio Film Festival, giunti nel 2016 alla 20° edizione e Fare Cinema, il corso di formazione cinematografica dove con l’aiuto dei suoi studenti dirige Sorelle (2006) e Sorelle mai (2011). Nel 2011 riceve il Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia e dal 2014 è Presidente della Cineteca di Bologna. Tra le sue opere ci sono, tra le altre anche Sogni infranti (1995), Addio del passato (2001) e il corto Pagliacci del 2016.