Franco Piavoli un poeta delle immagini

Un regista di rara sensibilità e poeta delle immagini ospite a San Giovanni V.no

Ognuno si aggira in un cerchio.

Il mio, ruota sempre intorno alla mia casa e dintorni.

Ma oltre la siepe gli spazi possono essere davvero infiniti.

Quando ho letto il comunicato stampa che annunciava la presenza di Franco Piavoli al Valdarno Cinema Festival per moderare gli incontri con gli autori, commentare i loro film e presentare alcune delle sue opere, mi sono chiesta se gli organizzatori avessero faticato molto per strappargli un sì definitivo. Perché mai non avrebbe dovuto accettare l’invito? Non è necessario prendere un aereo per coprire la distanza tra Pozzolengo e San Giovanni Valdarno. Ci si arriva comodamente in auto o, in alternativa, su un vagone ferroviario. Tutto cambia se si vive in un’isola, la Sardegna, circondata dal mare. Le alternative si riducono drasticamente: nave o aereo. Ma se l’autore a cui stai dedicando la rassegna non ha molto tempo a disposizione e ha un sacro terrore di volare, la sua presenza sottende tra il certo e l’incerto. E’ quello che è accaduto nel lontano 2003, quando io e Alessandro Macis invitammo Franco Piavoli a Cagliari nell’ambito di una retrospettiva a lui dedicata. Lo contattammo telefonicamente, raccontandogli che con cadenza annuale con le nostre associazioni L’Alambicco e La macchina cinema (circolo Ficc) organizzavamo rassegne cinematografiche, invitando gli autori a confrontarsi con il pubblico. Estendemmo l’invito a sua moglie Neria, suo inseparabile mèntore e collaboratrice. Nella suggestione del ricordo, lo immagino assiso su una sedia davanti al telefono, assediato da un attacco di panico. Sillabando le parole ci confessa che sia lui che Neria non sono mai riusciti a vincere il terrore di volare. Inizia un estenuante tira e molla: non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare alla loro presenza. La prima proposta è quella di farli viaggiare su un traghetto. Troppo faticoso, ci dicono. La seconda, purtroppo senza altre alternative, è quella di assumere una generosa dose di sedativi e attraversare il mare seduti sulla comoda poltroncina di un aereo. Alla fine ha vinto la curiosità e la voglia di ritornare in Sardegna, per rivisitare i luoghi dove sono state girate alcune scene di Nostos-Il ritorno, film del 1989.

FOTO DI MAURIZIO FANTONI MINNELLA
FOTO DI MAURIZIO FANTONI MINNELLA

Il loro arrivo è coinciso, a rassegna già iniziata, proprio con la proiezione di Nostos. Andiamo a prenderli in aeroporto. Hanno i volti segnati dalla stanchezza, ma rasserenati dal fatto di aver di nuovo messo piede in terraferma. A bruciapelo, con una certa impazienza, ci chiedono come sta andando la rassegna. Vogliono sapere, soprattutto, come è stato accolto dal pubblico Il pianeta azzurro (1982), film ritenuto dalla critica internazionale come il suo capolavoro. Emblematiche le parole del grande Andrej Tarkowskij che l’ha omaggiato scrivendo: “Il Pianeta Azzurro è un poema, viaggio, concerto, sulla natura e l’universo, la vita”. Li rassicuriamo raccontando che la sala della Cineteca Sarda, dove si sta svolgendo la retrospettiva, è sempre gremita e che a ogni proiezione si è sviluppato con il pubblico un lungo e interessante dibattito. Un pubblico impaziente di conoscere e confrontarsi vis a vis con il regista. Le giornate trascorse con Franco e Neria, alla scoperta della costa Orientale e Occidentale della Sardegna, in un periodo dell’anno (dicembre) poco battuto dai flussi turistici, sono anche state occasione di confronto. E’ incredibile come fossero in perfetta sintonia con la natura: ne percepivano tutte le fragranze, l’odore della terra, lo stormire delle foglie, lo scrosciare dell’acqua dei ruscelli, il canto degli uccelli. E proprio durante queste passeggiate Franco ci ha raccontato la genesi del Pianeta azzurro. Da estimatore del “De Rerum Natura” di Lucrezio, ha avuto la pazienza di rimanere anche per 12 ore consecutive immerso fino alle ginocchia nell’acqua delle paludi, con telecamera e registratore per captare un suono, rubare un’immagine, trovare la giusta luce. Durante le proiezioni serali e la discussione dei film, è emersa la sua straordinaria capacità di affabulatore e narratore di storie che ha coinvolto un pubblico attento e appassionato. Ogni intervento ha evidenziato la sua unicità nel panorama cinematografico italiano: i tempi lunghi di lavorazione perfluo ogni copione. Ricordo ancora quando sollecitato dalle domande del pubblico, ipnotizzato dai suoi racconti, ha detto che siamo tutti fatti della stessa materia, ma siamo anche tutti pezzi unici e irripetibili. O quando prendendo spunto dalla filosofia di Lucrezio ha ricordato: «Ognuno si aggira in un cerchio», replicando «Il mio, ruota da sempre tra la mia casa e dintorni. Ma oltre la siepe gli spazi possono essere davvero infiniti.» Aveva ragione un grande critico cinematografico, che ci ha lasciato troppo presto, quando ha sostenuto che i film di Franco Piavoli spesso sono passati ingiustamente nei Festival senza riconoscimenti, e che il suo cinema sarebbe stato auspicabile che fosse apprezzato da tutti coloro che amano i silenzi più delle parole. Io che ho vissuto i suoi silenzi durante le intense giornate cagliaritane e le brevi incursioni nel suo eremo, credo di avere bene investito energie, sia nella scommessa per un’alta e irripetibile operazione culturale, sia in un rapporto umano e di amicizia che dura ancora nel tempo.

Patrizia Masala

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